LA RISOLUZIONE DEI CONFLITTI NELL'AMBITO SPORTIVO

Por Prof. Massimo Coccia


 

1. Considerazioni preliminari.

Al fine di discutere della risoluzione dei conflitti sportivi -- intendendo in generale per "conflitto sportivo" qualsiasi situazione litigiosa connessa allo sport --, occorre preliminarmente prendere atto che, primo, alcuni conflitti non sono risolvibili con strumenti giuridici e, secondo, non tutti i conflitti sono risolvibili nello stesso modo.

Il primo problema deriva dal fatto che alcuni conflitti sportivi sono in effetti non conflitti giuridici bensì di "politica sportiva" -- ad esempio, tra una federazione internazionale ed un comitato olimpico o tra una federazione e una lega --, nei quali si contestano o si tentano di modificare le regole sportive esistenti, ovvero nei quali non esistono norme certe da applicare. Oppure, vi sono casi dove le norme da applicare esistono e non sono contestate, ma nei quali l'elemento "politico" è talmente prevalente da soffocare quello giuridico. In tutti quei casi in cui il conflitto sportivo è solo politico, o è misto politico-giuridico, è molto difficile pensare che il diritto possa tranquillamente risolvere i conflitti sportivi.

Anche lasciando tale problema al di fuori della presente analisi, e limitandoci all'esame dei conflitti sportivi di tipo giuridico -- che d'ora innanzi possiamo definire più propriamente "controversie sportive" --, il giurista deve comunque fare i conti con il secondo problema sopra indicato. Infatti, si possono ricomprendere nella categoria delle controversie sportive vari tipi di conflitti giuridici riguardanti lo sport, e non tutti possono essere risolti nello stesso modo. In particolare, mentre alcuni tipi di conflitti sportivi sono risolvibili all'interno degli stessi ordinamenti giuridici delle istituzioni sportive, altri sono difficili da sottrarre alla giurisdizione statale (ad esempio, nel caso di violazione di diritti civili o nel caso di questioni riguardanti il rispetto di norme pubblicistiche) o comunitaria (nel caso del rispetto di principi fondamentali dei Trattati europei).

In effetti, in tema di controversie sportive, la questione giuridica principale che il mondo dello sport si trova di fronte è sempre la stessa: come risolvere tali controversie mediante strumenti giuridici predisposti dallo stesso mondo dello sport, limitando così, per quanto possibile, l'intervento delle giurisdizioni ordinarie e la connessa interferenza tra il diritto statale, infra-statale (quale quello "autonomico") o extra-statale (quale quello della Comunità europea) e il diritto proprio delle istituzioni sportive. Tuttavia, al fine di procedere in questa direzione, occorre preliminarmente riflettere sul fatto che non esiste una categoria unitaria di controversia sportiva ma, piuttosto, che esiste una pluralità di categorie di controversie sportive. Una volta distinte e classificate le varie categorie di controversie sportive, si può meglio affrontare il problema della loro risoluzione. Infatti, come si vedrà, il mondo dello sport non può pensare di poter risolvere al proprio interno controversie sportive di tutte le categorie, ma è certamente in grado di prevenirne e risolverne molte.

2. Classificazione delle controversie sportive

Le controversie sportive possono essere classificate in base a differenti criteri, ciascuno dei quali si espone ad inevitabili obiezioni. In effetti, qualsiasi classificazione può essere ritenuta, in una certa misura, arbitraria.

In ogni caso, tra le varie classificazioni possibili, quella che ai nostri fini sembra essere più utile è una che utilizzi un criterio di tipo "soggettivo", basato cioè sulla identità e qualità delle parti contrapposte. In tal modo, è possibile isolare alcune categorie di controversie nelle quali si trovano le più complesse interferenze e sovrapposizioni tra gli ordinamenti giuridici sportivi e gli ordinamenti pubblici di tipo statale, infra-statale o extrastatali, prospettando alcune ipotesi di lavoro per limitare tali interferenze e sovrapposizioni.

Sulla base di tale criterio "soggettivo", è possibile individuare le seguenti categorie di controversia sportiva:

2.1. Ipotesi in cui nessuna delle parti della controversia sia una istituzione sportiva o un soggetto affiliato ad una istituzione sportiva.

Se nessuna delle parti della controversia è una istituzione sportiva o un soggetto affiliato ad una istituzione sportiva, non esistono grossi problemi di interferenza con gli ordinamenti giuridici delle istituzioni sportive. In questo caso, la connessione con lo sport è meramente di fatto. Un esempio potrebbe essere quello della controversia in materia di diritto della concorrenza nella quale un gruppo di canali televisivi ha proposto appello contro la decisione della Commissione C.E. che aveva concesso un'esenzione individuale alla European Broadcasting Union in relazione all'acquisto dei diritti di trasmissione televisiva degli avvenimenti sportivi. La controversia è poi stata decisa dal Tribunale di prima istanza della C.E. in favore dei networks ricorrenti con sentenza dell'11 luglio 1996.

In casi come questi le istituzioni sportive ed i loro affiliati sono certamente spettatori interessati, ma nulla più.

2.2. Ipotesi in cui una delle parti della controversia sia affiliata ad una istituzione sportiva.

Se una sola parte della controversia, sia essa l'attore o il convenuto, è un soggetto (atleta, club o altro) affiliato ad una istituzione sportiva, mentre l'altra parte è un soggetto estraneo al mondo sportivo, è possibile osservare alcune ripercussioni sugli ordinamenti sportivi, pur non potendosi parlare di una vera e propria interferenza con questi ultimi. Infatti, gli ordinamenti sportivi non possono pretendere che un soggetto esterno a tali sistemi si appelli alle istanze giudiziarie sportive. Per esempio, se il fornitore di materiale sportivo non è pagato da un club, egli citerà il club davanti al giudice ordinario e, se ne ricorrono gli estremi, potrà anche presentare un'istanza di fallimento. Viceversa, se uno sponsor non paga le somme convenute ad un club o ad un atleta, questi ultimi possono certamente citare in giudizio lo sponsor davanti al giudice ordinario. In questo caso, come nel precedente, non sorgono particolari problemi.

Tuttavia, all'interno di questa categoria si devono includere anche quei casi nei quali l'altra parte è un'autorità pubblica. Un esempio sono quei casi penali nei quali lo Stato, tramite la sua magistratura, persegue un atleta o i responsabili di un club per reati ipoteticamente commessi dagli stessi nel corso di una competizione sportiva. In questi casi, sebbene il diritto statale consideri sovente certe azioni prive di conseguenze penali (l'esempio tipico è quello delle lesioni cagionate durante lo svolgimento di un incontro di boxe), è possibile tuttavia che si verifichino alcune interferenze o contrasti tra il diritto sportivo ed il diritto statale. Un esempio di questa situazione può essere il corrente processo penale in corso a Imola (Italia) nei confronti dei responsabili del team Williams di Formula 1 e di quelli del circuito di Imola per presunte responsabilità degli stessi nella morte di Airton Senna.

2.3. Ipotesi in cui una parte della controversia sia una istituzione sportiva.

In questa categoria rientrano quei casi in cui una parte della controversia è una istituzione sportiva (federazione, lega o comitato olimpico), mentre l'altra parte è un soggetto estraneo al mondo sportivo. Si tratta di una categoria simile alla precedente, con l'importante differenza che la parte collegata allo sport non è un singolo club o atleta ma è la stessa istituzione sportiva.

Si tratta di un tipo di controversia che si presenta particolarmente delicata ogni qual volta l'istituzione sportiva è convenuta in giudizio ovvero è denunciata ad un'autorità amministrativa. In questi casi, infatti, l'istituzione sportiva dovrà difendere davanti ad un giudice ordinario o ad un'autorità amministrativa la legittimità della sua condotta ai sensi del diritto applicabile (statale, infra-statale o extra-statale). Negli ultimi anni, i tipici esempi di questo tipo di controversia sono stati i diversi procedimenti antitrust proposti contro istituzioni sportive. Per esempio, si possono ricordare i seguenti casi di diritto della concorrenza:

  • il caso spagnolo Antena 3 Television c. Liga Nacional de Futbol Profesional (sentenza del Tribunale per la difesa della concorrenza, 10 giugno 1993);
  • il caso francese La Cinq c. Fédération Française de Football (sentenza della Corte di Cassazione, 1° marzo 1994),
  • il caso italiano AICI c. Federazione Italiana Vela (provvedimento dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, 18 novembre 1992);
  • la decisione del Bundeskartellamt tedesco contro la federazione tedesca di calcio (Deutscher Fußball-Bund) del 2 settembre 1994;
  • il caso svizzero CWL Telesport c. UEFA (decisione del 14 novembre 1994, della Corte di Appello di Berna);
  • i casi comunitari TESN c. Scottish Football Association (decisione della Commissione C.E. del 31 marzo 1992) e Italia 90 (decisione della Commissione C.E. del 27 ottobre 1992);
  • il caso australiano News Ltd c. Australian Rugby League, con varie decisioni della Corte federale australiana del distretto del New South Wales (ordinanze del 27 febbraio 1996 e dei giorni successivi).

Come si evince da questi esempi, si tratta di controversie complesse. Tuttavia, qui non si tratta in realtà di casi dove gli ordinamenti statali potrebbero essere accusati di ingerirsi nell'ordinamento sportivo. Si tratta piuttosto di casi nei quali le istituzioni sportive si rivolgono al mercato e cercano di sfruttarne le opportunità economiche -- circostanza perfettamente legittima ed anzi auspicabile -- agendo nel contesto dell'ordinamento giuridico generale.

In altre parole, allorché le istituzioni sportive cercano sponsor o vendono diritti di trasmissione televisiva, non possono certo ignorare o, ancora peggio, violare le norme statali cogenti che disciplinano le attività economiche. È ovviamente impensabile che in casi di questo tipo si possano risolvere le controversie all'interno del sistema sportivo.

2.4. Ipotesi in cui entrambe le parti della controversia siano istituzioni sportive o soggetti affiliati a queste ultime.

In questa categoria sono ricomprese le controversie nelle quali un individuo o un club affiliato ad una determinata istituzione sportiva si trova in conflitto con un altro individuo o club anch'esso affiliato, o addirittura con la stessa istituzione sportiva. In altre parole, si tratta di controversie che, in teoria, potrebbero essere risolte interamente all'interno dell'ordinamento sportivo, dato che tutte le parti coinvolte ne fanno parte, e che invece sono sempre più spesso portate davanti alle corti statali. Una sotto-classificazione può essere tentata di questo tipo di controversie:

(a) Le controversie tecniche.

Si tratta di controversie strettamente connesse con l'applicazione delle norme sportive tecniche. La maggior parte di tali norme, ancorché non tutte, sono applicate direttamente durante lo svolgimento della competizione sportiva da parte degli arbitri o dei giudici di gara e sono inappellabili, vale a dire non sono soggette ad alcun tipo di revisione successiva. Peraltro, alcune di tali controversie sorgono prima o dopo la gara e sono soggette alle decisioni di apposite istanze sportive. Per esempio, nella vela, controversie tecniche successive allo svolgimento della gara sono all'ordine del giorno e risultano proceduralmente organizzate (con udienze, testimoni, appelli e così via).

(b) Le controversie amministrative.

Si tratta di controversie che nascono da ricorsi proposti da individui o club contro regolamenti o misure adottate dalle istanze sportive nell'ambito della loro amministrazione dell'attività sportiva. A titolo di esempio, possiamo ricordare le controversie relative al problema dell'ammissione o no di un atleta o di un club ad una determinata competizione. Si possono menzionare a questo proposito: i casi francesi relativi alle squadre Girondins de Bordeaux e Chamois Niortais (decisioni del Consiglio di Stato del 10 maggio e del 13 novembre 1993); il caso spagnolo Smith c. ACB (decisione del Tribunale di prima istanza di Barcelona del 18 novembre 1991, confermato dalla Corte Provinciale di Appello di Barcelona il 23 marzo 1992); i casi italiani Club Calcio Catania c. FIGC e CONI (varie decisioni, l'ultima delle quali da parte del Consiglio di Stato in data 30 settembre 1995), nonché il caso Gay c. FIP, deciso nel settembre 1995 dal TAR Lazio. A ben vedere, lo stesso caso Bosman (sentenza della Corte di Giustizia delle Comunità europee in data 15 dicembre 1995) rientra in questa categoria, così come i casi Deliège(1) e Lehtonen(2) attualmente pendenti davanti alla Corte di giustizia.

(c) Le controversie disciplinari.

Questa categoria dovrebbe in teoria essere inquadrata nell'ambito della categoria precedente, ma la sua peculiarità ed importanza la rende autonoma. Si tratta, invero, di dispute che nascono a seguito di misure punitive adottate dalle istituzioni sportive nei confronti di individui o clubs affiliati. Tali misure punitive possono essere adottate in relazione a comportamenti tenuti durante lo svolgimento di gare ovvero al di fuori di queste. Un esempio tipico è quello che riguarda il rispetto delle regole sul doping: si possono ricordare a questo proposito il caso americano Butch Reynolds c. IAAF (decisione della Corte distrettuale dell'Ohio del 3 dicembre 1992) e il caso tedesco Katrin Krabbe c. Federazione tedesca di atkletica leggera e IAAF (decisione del Tribunale di Monaco del 17 maggio 1995). Si possono menzionare anche esempi al di fuori del doping, come il caso Olympique Marseille c. UEFA (ordinanza del Presidente del Tribunale di Berna in data 9 settembre 1993).

Va detto che i confini di tale categoria di dispute rispetto ad entrambe le categorie precedentemente illustrate non sono sempre chiari.

(d) Le controversie economiche.

Si tratta di controversie tra clubs o individui affiliati alle istituzioni sportive, nelle quali una parte parti chiede all'altra il risarcimento di perdite subite, in relazione a violazioni contrattuali o extracontrattuali. A differenza delle controversie "amministrative" e "disciplinari", queste controversie non comportano un'azione contro una misura adotttata da un'istanza sportiva. In tali dispute, l'istanza sportiva si trova al di sopra delle parti. Un esempio tipico è quello della controversia tra un giocatore ed un club, ovvero tra due club, per il mancato pagamento delle somme contrattualmente previste.

(e) Le controversie interistituzionali.

Si tratta di controversie tra istituzioni sportive che, avendo ciascuna il proprio ordinamento giuridico, non si riconoscono vincolate dalle decisioni di altre istituzioni. Simili controversie sono ad esempio insorte tra comitati olimpici nazionali e federazioni internazionali. Da un punto di vista prettamente formale, si potrebbe argomentare che tali controversie non rientrano in nessuno specifico ordinamento sportivo. Tuttavia, da un punto di vista sostanziale, tali dispute rilevano ai fini di quello che potremmo chiamare il "diritto sportivo interistituzionale" (e che è stato definito in dottrina come il "diritto sportivo internazionale"), in quanto le stesse risultano molto più legate all'ordinamento sportivo che non agli ordinamenti statali.

3. Considerazioni sulla risoluzione delle controversie sportive.

Abbiamo dunque visto come sussistano varie categorie di controversie sportive. Risulta abbastanza evidente dalla classificazione presentata che per molte categorie di controversie definibili come sportive (punti 2.1-2-3), le istituzioni sportive ben difficilmente possono pretendere di riuscire a risolvere le controversie con strumenti da esse creati. In particolare, quando le istituzioni sportive escono dal proprio ambito e si pongono volontariamente sul piano del mercato e della commercializzazione del "prodotto sport", devono assolutamente tenere conto delle norme che regolano il mercato e il commercio e, dunque, sottostare necessariamente alla giurisdizione dei giudici ordinari. Certo, si può auspicare che i giudici ordinari, nel valutare questioni connesse allo sport e nel prendere le loro decisioni, tengano conto della peculiarità di questo fenomeno (soprattutto in materia di diritto antitrust, dove occorre essere molto cauti nel trasferire automaticamente allo sport schemi di analisi validi per altri settori commerciali), ma questo è tutto quello che il mondo dello sport può sperare di ottenere.

Occorre invece concentrare l'attenzione sulla categoria di controversie dove entrambe le parti sono istituzioni sportive o soggetti (clubs o atleti) affiliati a queste ultime (punto 2.4). È soprattutto nell'ambito dell'ultima categoria, infatti, che si pone il problema della sovrapposizione tra l'ordinamento statale e l'ordinamento sportivo. In effetti, in tutti i casi sopra citati come esempio, si è verificato che un club o un atleta non è rimasto soddisfatto delle regole sportive vigenti, della decisione adottata o del procedimento seguito dalla istituzione sportiva cui era affiliato, e si è quindi rivolto alla giustizia ordinaria. Così i giudici statali (o comunitari) sono stati chiamati a pronunciarsi su dispute che ben avrebbero potuto essere risolte nell'ambito del sistema sportivo. Va detto che tali interventi dei giudici ordinari raramente sono stati felici, data la scarsa conoscenza del fenomeno sportivo e delle sue peculiarità.

Tuttavia, non serve a nulla che le istituzioni sportive protestino a posteriori in quanto si sentono violate nella loro autonomia. Le istituzioni sportive devono invece predisporre a priori gli opportuni strumenti giuridici atti a prevenire una eccessiva ingerenza dei giudici ordinari nell'ambito dello sport. Molti dei casi catalogabili sub 2.4, infatti, potrebbero essere risolti in anticipo dalle stesse istituzioni sportive, in tal modo evitando l'intervento e l'ingerenza delle corti statali o extra-statali.

Va d'altronde ricordato che in campo commerciale gli ordinamenti statali sempre più consentono ai privati di risolvere le loro controversie mediante l'arbitrato o mediante i cosiddetti mezzi di Alternative Dispute Resolution, tra i quali primariamente la conciliazione. Questa tendenza verso la giustizia privata è invero vantaggiosa sia per gli Stati che per le parti in controversia. Da un lato, lo Stato risparmia tempo e risorse che può usare più efficientemente per controversie vertenti su argomenti meno specialistici. D'altro lato, i privati (nonostante i costi talvolta maggiori rispetto alla giurisdizione ordinaria) possono ottenere una soluzione della controversia più rapida e una decisione affidata a degli esperti del settore, i quali possono anche applicare norme consuetudinarie propri del mondo sportivo e riconducibili ad una sorta di lex sportiva (paragonabile alla lex mercatoria).

In linea di principio, non c'è motivo per cui analoghe considerazioni non debbano applicarsi anche alle controversie sportive: queste possono essere risolte con strumenti giuridici privati in modo efficiente e competente. Va tra l'altro sottolineato che i giudici statali non hanno una particolare convenienza o un particolare interesse nel risolvere controversie sportive (sebbene qualche volta la pubblicità derivante dall'occuparsi di questioni sportive sia tentatrice). Tuttavia, gli strumenti di giustizia privata utilizzati per risolvere le controversie sportive debbono indubbiamente affinarsi.

Innanzi tutto, le istanze giudiziali interne alle federazioni sportive devono seguire procedure che tutelino certi principi procedurali fondamentali. Inoltre, si devono predisporre dei meccanismi di giustizia privata, quali in particolare la conciliazione e l'arbitrato, che formino una sorta di diaframma tra le istanze giudiziali interne delle istituzioni sportive e i giudici statali.

3.1. Rispetto di principi procedurali da parte delle istituzioni sportive.

Nessun giudice statale passerà facilmente sopra, ad esempio, a violazioni:

  • del diritto di essere sentiti (come è accaduto nei casi Krabbe e Reynolds),
  • del diritto a un equo processo (caso Reynolds),
  • del principio ne bis in idem (caso Krabbe),
  • del principio della irretroattività delle norme e delle sanzioni,
  • del principio di "proporzionalità" delle sanzioni (caso Catania),
  • del principio di "terzietà" del giudice,
  • del requisito di una motivazione scritta delle decisioni.

Se tali principi e requisiti venissero sempre rispettati nelle procedure interne delle federazioni, molte occasioni di conflitto giuridico-sportivo verrebbero probabilmente prevenute.

3.2. Arbitrato.

L'arbitrato è un meccanismo troppo noto per dilungarsi nella sua descrizione. Come è noto, esso si attua mediante l'accordo delle parti volto a attribuire ad uno o più individui, "terzi" rispetto alle parti, la competenza a risolvere una determinata controversia già insorta ovvero eventuali controversie future. La decisione dell'arbitro o del collegio arbitrale è vincolante per le parti, anche se è poi piuttosto delicata la fase dell'esecuzione della decisione medesima. Infatti, onde poter essere efficace nell'ordinamento generale (vale a dire onde poter ottenere eventualmente l'exequatur), devono essere rispettati tutti i criteri richiesti dalle varie leggi nazionali sull'arbitrato e dalle Convenzioni di New York del 1958 e di Ginevra del 1961. Soprattutto, devono essere rispettati i requisiti dell'attribuzione consensuale di competenza, della "terzietà" dell'arbitro e del rispetto di certe forme procedurali. Nel mondo dello sport sono frequenti i meccanismi arbitrali, anche se occorre distinguere tra quelli che sono giuridicamente tali e quelli che di arbitrale hanno solo il nome. Si pensi solo al cosiddetto "Arbitration Panel" della federazione internazionale di atletica leggera ("IAAF"), dove i sei membri del Panel sono nominati dalla IAAF e si trovano a giudicare anche di controversie di cui è parte la IAAF stessa, con una procedura alla quale gli atleti sono soggetti sulla base della mera affiliazione ad una federazione nazionale (Regole IAAF 21-23). Probabilmente nessun giudice statale conferirebbe l'exequatur alla pronuncia dell'Arbitration Panel della IAAF.

Invece, il Tribunale Arbitrale dello Sport di Losanna ("TAS"), sebbene fondato dal CIO nel 1984, può essere effettivamente considerato una istituzione arbitrale indipendente: invero, il Tribunale Federale Svizzero ha statuito che il lodo pronunciato dal TAS costituisce una vera e propria sentenza arbitrale, alla luce delle garanzie di imparzialità offerte dal suo statuto (sentenza del 15 marzo 1993). Nel 1994, a seguito di questa sentenza e dei dubbi che comunque essa sollevava, è stato migliorato per molti aspetti lo statuto e sciolto il legame formale con il CIO mediante la creazione di un Consiglio Internazionale per l'Arbitrato Sportivo ("CIAS"), il quale sovrintende alla gestione del TAS e alla nomina della lista di arbitri da cui devono essere scelti i membri dei singoli collegi. La lista di arbitri è formata di giuristi di comprovata esperienza nel settore dello sport sulla base delle indicazioni che provengono da tutte le componenti del mondo sportivo (federazioni, associazioni, comitati olimpici, sindacati di atleti e così via).

Il TAS può essere usato per qualsiasi controversia sportiva a condizione, ovviamente, che le parti gli abbiano assegnato la competenza a decidere. Già molte federazioni sportive internazionali hanno inserito nello statuto o in specifici regolamenti di gara la competenza del TAS a risolvere in appello reclami di atleti o clubs affiliati contro la federazione (un esempio può essere la EuroLeague di pallacanestro, dove è prevista questa possibilità, che stava per essere utilizzata l'anno scorso dal Barcelona FC contro la FIBA). È interessante segnalare che in occasione dei Giuochi Olimpici di Atlanta, il CIAS ha istituito sul luogo una camera arbitrale ad hoc del TAS per risolvere eventuali controversie senza l'intromissione dei temutissimi giudici americani. Ciò ha consentito una rapida ed efficace risoluzione delle controversie insorte. Particolare valore assume infatti la concentrazione di tutte le vicende che riguardano l'evento sportivo olimpico: le controversie -- in particolare di natura tecnica e disciplinare -- che possano insorgere in relazione alla competizione olimpica devono poter essere risolte nel corso della stessa, così da non pregiudicarne lo svolgimento.

Il modello del TAS potrebbe essere utilizzato anche all'interno dei singoli Paesi. Il TAS appare infatti particolarmente adatto a risolvere le controversie sportive di tipo transnazionale, ma non per quelle meramente nazionali. Non è pensabile di affidare tutte le controversie sportive ad una sola istituzione in Svizzera: anche i costi sarebbero eccessivi. Invece, in ciascun Paese potrebbero essere create camere arbitrali -- così come avviene per le camere di commercio in giro per il mondo -- cui affidare la risoluzione di un vasto numero di controversie sportive (possibilmente tutte quelle della categoria indicata sub 2.4). Se poi questi meccanismi arbitrali sportivi vengono stabiliti per legge, ovviamente ciò va a tutto vantaggio delle istituzioni sportive,

3.3. Conciliazione.

La conciliazione è in sostanza una negoziazione facilitata dall'intervento di un terzo autorevole e imparziale, il quale propone alle parti una soluzione della controversia per esse non vincolante. Lo scopo è quello di guidare le parti verso il raggiungimento di un accordo che in qualche misura soddisfi entrambe le parti. A differenza dell'arbitrato o del giudizio ordinario, dove si mira ad attribuire alle parti le responsabilità per azioni passate, le procedure di conciliazione, pur tenendo certamente conto di tali responsabilità, tendono a tutelare e migliorare le future relazioni delle parti mediante soluzioni anche creative. In particolare, la conciliazione ha il vantaggio della informalità e della assenza di limiti giuridici procedurali (ad esempio, può essere utile per il conciliatore incontrare le parti anche separatamente, dunque senza contraddittorio diretto) o sostanziali (ad esempio, la soluzione prospettata dal conciliatore non deve essere giustificata sulla base di una rigorosa logica giuridica).

È interessante segnalare che in Francia è stato istituito per legge (art. 19 della loi n. 84-610 del 16 luglio 1984, così come emendato dalla loi n. 92-652 del 13 luglio 1992), presso il Comitato olimpico francese ("CNOSF"), una procedura di conciliazione che, nei casi di azioni nei confronti delle federazioni, è obbligatorio utilizzare in via preliminare rispetto all'eventuale azione davanti al competente giudice statale(3). L'obbligatorietà ex lege della procedura conciliativa determina ovviamente la irricevibilità di un'eventuale azione davanti al giudice statale. I conciliatori sono 15 autorevoli giuristi (professori universitari, magistrati, avvocati) esperti di questioni sportive, e ne viene nominato uno per ogni controversia. La procedura si distacca parzialmente dalla tradizionale conciliazione in quanto al termine, se le parti non trovano l'accordo, il conciliatore sottopone una proposta di soluzione alle parti basata (anche se non strettamente) sul diritto; se entro un mese le parti non rigettano tale proposta, la proposta del conciliatore si ritiene accettata. Il meccanismo conciliativo francese ha dimostrato una notevole efficacia temporale -- i procedimenti sono durati da un minimo di 48 ore ad un massimo di 2 mesi -- e ha indubbiamente avuto un notevole successo: sulla base dei dati statistici a disposizione, su 236 controversie sottoposte a conciliazione, 56 si sono concluse con l'accordo in udienza delle parti, in 112 casi le parti hanno accettato la proposta del conciliatore mentre in 68 casi la proposta è stata rigettata da una o entrambe le parti; tuttavia, in soli 17 casi (il 7,2% del totale) la controversia è stata poi portata davanti a un giudice statale.

4. Conclusioni.

Lo sport odierno di alto livello è caratterizzato dal coinvolgimento di notevoli interessi economici. Le istituzioni sportive quali federazioni, leghe o comitati olimpici non possono più pensare di usufruire di quella sorta di "immunità dalla giurisdizione" di cui hanno goduto nel passato. Invero, finché le somme in gioco erano basse, non era particolarmente conveniente portare le questioni di fronte a giudici statali e si tendeva ad accettare più facilmente le decisioni delle istituzioni sportive. Essendo mutate le circostanze economiche, ed essendo dunque aumentata la conflittualità nel settore sportivo, occorre predisporre meccanismi di risoluzione delle controversie adeguati.

Come si è detto, resterà comunque un'ampia sfera di conflittualità sportiva concernente norme statali imperative, la quale dovrà essere in ogni caso risolta dai giudici statali. Tuttavia, nell'ambito dei cosiddetti diritti disponibili e particolarmente in riferimento alle controversie tra istituzioni sportive e atleti o clubs affiliati ad esse, la giustizia privata sportiva può proporsi in modo complementare rispetto alla giustizia pubblica mediante meccanismi arbitrali e conciliativi. Ciò può essere rafforzato dalla previsione legislativa dello Stato, come è avvenuto in Francia con la descritta procedura conciliativa, ovvero in Spagna con gli articoli 87-88 della Ley del Deporte n. 10/1990 del 15 ottobre 1990, dove si prevedono i requisiti minimi da rispettare per poter inserire dei meccanismi arbitrali o conciliativi negli statuti di federazioni, leghe o clubs sportivi.


Note:

1. Il 16 febbraio 1996 il Tribunale di prima istanza di Namur (Belgio) ha interpellato in via pregiudiziale la Corte di giustizia comunitaria in occasione di un giudizio promosso dalla judoka belga Christelle Deliège contro la federazione belga di judo (caso n. C-51/96). Il Tribunale di Namur chiede alla Corte di giustizia se siano compatibili con il Trattato CE le regole delle federazioni sportive che prevedono: (a) che gli atleti per partecipare alle competizioni internazionali debbano essere prima selezionati dalle rispettive federazioni nazionali; (b) che alle competizioni internazionali possano accedere non più di un certo numero di atleti della stessa nazionalità. In sostanza, la judoka belga sostiene che le federazioni non dovrebbero essere libere di selezionare a loro discrezione gli atleti che vanno a rappresentarle nelle gare internazionali. Il pericolo di un simile caso per tutto il sistema sportivo nazionale e internazionale è evidente. Se il caso Bosman ha prodotto delle ferite nell'ordinamento sportivo, una sentenza negativa sulla questione sollevata potrebbe uccidere lo sport. Ogni Olimpiade, campionato mondiale o campionato europeo diverrebbe il terreno di scontro, anziché di atleti, di avvocati ansiosi di apparire sui media (e a questo proposito non può non segnalarsi che l'avvocato della Deliège è lo stesso che ha patrocinato Bosman ...).

2. Il 23 aprile 1996 il Tribunale di prima istanza di Bruxelles (Belgio) ha emesso una ordinanza di rinvio alla Corte di giustizia delle Comunità europee in occasione di un giudizio promosso dal giocatore di pallacanestro finlandese (e dunque "comunitario") Jyri Lehtonen e dal club belga Castors Braine contro la federazione e la lega belga di pallacanestro.La vicenda è sorta quando il club Castors Brain ha "perso a tavolino" la partita di campionato belga del 6 aprile 1996 in quanto vi aveva schierato in campo il giocatore Lehtonen nonostante egli fosse stato tesserato il 3 aprile 1996, vale a dire molto dopo la scadenza dei termini federali per il tesseramento. La Corte di giustizia deve così pronunciarsi sulla compatibilità con il Trattato CE delle regole delle federazioni sportive che vietano ad un club affiliato di far scendere in campo i giocatori tesserati dopo una certa data. In sostanza, i ricorrenti sostengono che le federazioni non dovrebbero imporre alcun limite temporale per la tesserabilità dei giocatori. Se la Corte di giustizia dovesse accogliere tale tesi, ciascuna società potrebbe cambiare continuamente giocatori fino alla fine del campionato. Per fare un esempio, una società arrivata a disputare il play-off per lo scudetto come ottava classificata (dunque dopo una stagione regolare mediocre), potrebbe improvvisamente pescare nuovi giocatori tra le squadre già eliminate nel proprio Paese o in altri campionati europei e trasformare completamente la propria squadra fino a vincere il campionato.

3. Nella parte pertinente l'art. 19 prevede:

"[...] Les conflits opposant les licenciés, les groupements sportifs et les federations sont, à la demande d l'une des parties, soumis au CNOSF aux fins de conciliation. [...]

Lorsque le conflit [...] concerne des fédérations titulaires de la délégation du ministre chargé des sports, qu'il résulte d'une décision prise dans le cadre de l'exercice de prérogatives de puissance publique ou pour l'application des statuts fédéraux et que cette décision soit ou non encore susceptible de recours internes, la saisine du Comité national olympique et sportif français est obligatoire préalablement à tout recours contentieux. La conciliation est mise en oeuvre par un conciliateur désigné, pour chaque discipline sportive ou groupe de disciplines sportives ou dans chaque région, par le Comité national olympique et sportif français. Dans le délai d'un mois suivant la saisine, le conciliateur, après avoir entendu les intéressés, propose une ou des mesures de conciliation. Cette ou ces mesures sont présumées acceptées par les parties sauf opposition notifiée au conciliateur et aux autres parties dans un nouveau délai d'un mois à compter de la formulation des propositions du conciliateur.

La saisine du Comité national olympique et sportif français, en application de l'alinéa précédent, suspend l'exécution de la décision litigieuse jusqu'à cette notification. Le délai de recours contentieux recommence à courir à compter de ladite notification.

En cas de recours, la ou les mesures de conciliation proposées sont portées à la connaissance de la juridiction compétente. Celle-ci, lorsqu'il s'agit d'une décision individuelle prise à l'encontre d'une personne physique ou morale par une fédération dans l'exercice de ses prérogatives de puissance publique, est, nonobstant toute disposition contraire, le tribunal administratif de la résidence ou du siège des personnes faisant l'objet des décisions attaquées à la date desdites décisions".


Universitat Oberta de Catalunya

JORNADA SOBRE DRET I ESPORT

Barcelona, 23 de mayo de 1997

 

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